Auld Lang Syne

“Auld Lang Syne” è un poema scritto dallo scozzese Robert Burns nel 1788 e arrangiato sulla melodia di una canzone popolare tradizionale.

E’ conosciuto in molti paesi, in particolare in quelli di tradizione anglosassone, e viene tradizionalmente usato per celebrare l’inizio del nuovo anno allo scoccare della mezzanotte.

E’ anche cantato ai funerali, lauree, e come un addio o fine per altre occasioni.
Il movimento internazionale Scout Boy giovanile, in molti paesi, lo usa alla fine del Jamboree e degli altri raduni.

Il titolo scozzese della canzone può essere tradotto in inglese letteralmente “lungo dal vecchio”, o più idiomatico, “tanto tempo fa”, “tempi passati” o “vecchi tempi”.
Di conseguenza, “For Auld Lang Syne”, come appare nella prima riga del testo, è liberamente tradotto come “per (amore di) vecchi tempi”.
La canzone comincia ponendo una domanda retorica sul fatto se sia giusto dimenticare i vecchi tempi, ed è generalmente interpretato come una chiamata a ricordare le amicizie di lunga data.

Ovviamente ci sono molte differenti esecuzioni ed adattamenti di questo pezzo, con il canto o solo con la musica…..a me e’ piaciuto molto nella versione di Mariah Carey, che su YouTube si trova anche in versione Karaoke, per divertirci a cantarla tutti insieme!

Denver – La “mia” Mile-High City –

Denver – La “mia” Mile-High City –

Come al solito, preciso che questa mia piccola descrizione di Denver non vuole essere una guida, ma non e’ nemmeno un dettagliato diario. Sono solo le mie impressioni e il miei ricordi su questa citta, visitata nel settembre 2011 nel mio giro nella Real America.

Denver infatti e’ stata per me una grande sorpresa. Pensando al Colorado pensavo ai cowboys, ai boschi, ai minatori della corsa all’oro; e mi aspettavo una citta’ dal sapore antico, magari con case di mattoni e viali alberati.

Niente di piu’ falso: Denver e’ una delle citta’ piu’ avveniristiche che io abbia mai visto.

Il downtown e’ un’insieme di grattacieli modernissimi, e le case del secolo scorso sono solo su un paio di strade dietro al Campidoglio.

Denver e’ la capitale dello stato del Colorado, chiamata la Mile-High City perche’ a 1600 metri sul livello del mare, ossia un miglio. Noi ci siamo stati a fine settembre, e abbiamo avuto la fortuna di avere giornate di sole, che rendevano l’aria frizzantina e piacevole.

La citta’ e’ molto grande, un’area metropolitana fatta da cittadine attaccate. Noi avevamo preso l’hotel a Lakewood, una zona ad ovest della tristemente nota Aurora.

La nostra visita del centro di Denver si e’ svolta in una giornata, giornata in cui abbiamo camminato molto. Infatti Denver, nella sua Downtown, e’ piuttosto limitata per le auto, e parecchie strade sono esclusivamente pedonali. Abbiamo posteggiato in un multipiano, e da li’ abbiamo camminato parecchio.

Il cuore della citta’ e’ l’area attorno al Civic Center Park – Noi siamo arrivati alla grande area del Civica Center provenienti dalla 16th Street, dove si concentrano i negozi, i cinema, i ristoranti e i teatri della citta. Una via esclusivamente pedonale, percorsa al centro da piccoli autobus elettrici completamente gratuiti che vanno su e giu’ senza interruzioni; la 16th Street non per nulla e’ chiamata Pedestrian Mall, perche’ ti da la sensazione di un unico grande centro commerciale. E’ interamente coperta dal Wi-Fi cittadino, ed e’ affollatissima di studenti , con molte fontane, piazzole, panchine: insomma un luogo molto fruibile per tutti.

Da li’, siamo arrivati al Civic Center Park, un enorme spianata fatta da giardini e viali, dominata dal Capitol.

Noi siamo arrivati all’ora dell’intervallo del pranzo, e ci siamo stupiti di vedere la quantita’ di impiegati che affollavano i locali e che facevano la fila davanti ai chioschi mobili di hotdog e specialita’ etniche. C’è un motivo: Denver, dopo Washington, e’ la citta’ americana con piu’ impiegati governativi. La sua posizione centrale nel paese ha fatto si che l’amministrazione vi concentrasse un gran numero di uffici. Probabilmente la giornata di sole aveva fatto uscire a passeggio nel break di pranzo molte persone, ma credetemi, la folla di persone ci ha colpito.

Passato il Civic Center Park, eccoci davanti ad una delle costruzioni piu’ particolari che io abbia mai visto: il padiglione Hamilton del Denver Art Museum. Il museo e’ un complesso di edifici, in alcuni dei quali sono custodite collezioni interessanti. Ma l’ultimo padiglione, quello progettato dall’architetto Libeskind, conosciuto come “padiglione Hamilton” e inaugurato nel 2006 e’ qualcosa di indimenticabile.

La forma intanto e’ indescrivibile: praticamente una specie di piramide al contrario, con un gran numero di facce, luccicante nel sole perche’ esternamente rivestita di titanio e vetro. Nei giardini che lo circondano ci sono sculture modernissime, e tutto il complesso e’ davvero particolare, inusitato.

Dopo un giro completo dell’edificio, e tante foto, abbiamo deciso di tornare alla macchina per un giro nel Golden Triangle, la zona piu’ ricca e signorile di Denver, dove ci sono le ultime case del XIX secolo rimaste. Quella piu’ conosciuta e’ la casa di Molly Brown, che oggi ospita un museo. Molly Brown, nata poverissima sposo’ un minatore, che trovo’ una miniera d’oro (nel vero senso della parola). Diventata ricchissima fu un personaggio centrale per la vita culturale di Denver alla fine dell’Ottocento, e fu anche mecenate di artisti e benefattrice di opera caritatevoli. Si adopero’ molto per i diritti delle donne e dei bambini, e grazie a lei nacquero orfanotrofi e case di accoglienza; noi la conosciamo soprattutto perche’ e’ la sopravvissuta del Titanic piu’ famosa. Ricordate “Titanic”? Lei era interpretata da Kathy Bates, e proprio per questo benne soprannominata “The unsinkable Molly”, l’inaffondabile Molly. La sua casa oggi e’ museo, e vengono permanentemente esibiti reperti originali del Titanic.

A Denver c’è altro, ovviamente, ma ci sono anche localita’ graziose nelle vicinanze. A parte la vicinanza con il Rocky Mountain Park, e le cittadine di Boulder e Estes Park (deliziosa), altre localita’ carine raggiungibili in giornata sono Colorado Springs e Manitou Springs.

Colorado Springs e’ una cittadina a forte vocazione turistica, circondata da montagne, con una strada principale con negozi di arte e abbigliamento. Ci sono parecchi hotel con SpA e attivita’ destinate ai visitatori.

Manitou Springs, anch’essa cittadina turistica, sembra sia stata in passato una delle mete preferite degli hippies. Io non ho visto nessun hippy, in compenso in un negozio ho visto in esposizione i calumet per il fumo di marjuana, quelli in vetro tipo narghile’, e le pipe per lo stesso uso!

Nelle vicinanze ci sono anche Pikes Peacks, una montagna percorsa da una strada tramite la quale si arriva al punto piu’ alto raggiungibile in auto, oltre 4.000 metri, e Cripple Creek, una cittadina di minatori oggi trasformata in paradiso dei casino’ –

Last but not least, vicino Denver c’è un fantastico Outlet, il Castle Rock Outlet

http://www.outletsatcastlerock.com/

Stephen King non c’entra nulla, l’unico ad essere terrorizzato sara’ il vostro direttore di banca!

Il Continental Divide e il Wolf Creek Pass –

Non mi sono mai vergognata di quello che non so, perche’ quando non conosco una cosa ho lo stimolo per imparare qualcosa di nuovo.
Se leggo o sento una parola nuova, vado subito a prendere il vocabolario.
Se non posso farlo subito, o quando sono all’estero e leggo una parola che non conosco, me lo appunto, e quando e’ possibile controllo.

Nel 2011, in Colorado, ho scoperto l’esistenza dei Continental Divide, (o Great Divide) ovvero dello spartiacque per definizione, la linea geografica che divide i fiumi che sfociano nell’Atlantico da quelli che sfociano nel Pacifico.

Il concetto di spartiacque e’ molto comune, ovviamente coincide con una catena montuosa, e ce ne sono diversi per ogni continente. ma il Great Divide e’ anche geograficamente molto suggestivo, in quanto corre da Nord a Sud, dall’Alaska al Messico, fino al Canale di Panama, per poi proseguire, con un nome diverso ma sostanzialmente continuo, lungo le Ande fino alla Patagonia.

In pratica e’ la spina dorsale dell’America, e negli USA attraversa alcuni dei posti geograficamente piu’ interessanti, il Glacier Park, Yellowstone, il Rocky Mountains National Park.
E’ difficile da credere, ma esiste anche un Trail che lo segue per oltre 5.000 chilometri, e che attraversa cinque stati, assumendo talvolta l’aspetto di una strada asfaltata ma spesso restando una semplice strada di campagna.

E sembra che ci siano persone che realmente lo percorrono, anche in bicicletta e in solitaria :

Il mio incontro con il Great Divide avviene il 21 settembre 2011, giornata di trasferimento da Durango a Denver. Avevo sentito parlare di Divide gia’ a Yellowstone, ma sinceramente non mi aveva colpito. Forse la mia mente in quel momento era piena di cosi’ tante cose che non c’era spazio per altre novita’. Ma quel giorno, percorrendo la US160 verso Nord, stavamo attraversando la Rio Grande Forest, e ci siamo trovati a passare dal Wolf Creek Pass, dove il Divide era segnalato e ben spiegato.

La cosa incredibile di quel posto e’ che, pur trattandosi di un passo di montagna a oltre 3000 metri, veniva raggiunto da una strada larghissima di due corsie per lato, illuminata e presidiata dalla Police Patrol. Sul picco un posto panoramico, un ampio parcheggio, ovviamente targhe, segnali e strutture pubbliche “di conforto”

Inutile precisare che quella che a settembre e’ una bella gita al freschetto, nei mesi invernali puo’ diventare una avventura alla Jack London (e senza Zanna Bianca).

N.B. Ho studiato soprattutto qui https://en.wikipedia.org/wiki/Continental_divide

Le Figlie della Repubblica del Texas – The Daughters of the Republic of Texas (DRT) –

Il complesso dell’Alamo e’ diventato Patrimonio Mondiale dell’Umanità solo lo scorso 6 luglio 2015.

Patrimonio Unesco

La cura del monumento dal 2011 è responsabilità dello Stato del Texas.
Ma prima?

Incredibile a credersi, la cura di un tale patrimonio storico fino al 2011 è stata gestita da una associazione di donne, discendenti lineari dei soldati della Repubblica del Texas, ovvero le Figlie della Repubblica del Texas, The Daughters of the Republic of Texas (DRT)

Le Figlie della Repubblica del Texas – The Daughters of the Republic of Texas (DRT)

Questa associazione nasce nel 1891, con la finalità di perpetuare la memoria del coraggio dei soldati che hanno combattuto per la libertà del Texas ai tempi in cui il Texas era una Repubblica indipendente.
Nel tempo le finalità dell’associazione si sono estese agli studi storici, alla tenuta di una biblioteca storica, e soprattutto alla cura del complesso dell’Alamo.

Per farne parte bisogna dimostrare di essere discendenti dirette di persone che hanno servito il Texas prima del 1846, ovvero militari, politici, e amministratori statali.
Le Figlie della Repubblica del Texas hanno un archivio storico di tutto rispetto, e oggi sono oltre 7.000.

http://www.drtinfo.org/membership-2/how-to-become-a-member

http://www.4006271860.com/2015/10-12/59146016.html

http://www.notaryofflorida.com/20aQXo05/

La cosa più notevole da raccontare, è che quando alla fine del XIX il monumento dell’Alamo cominciò ad avere dei danni strutturali pesanti, queste donne piene di risorse trovarono il modo per metterlo in sicurezza, coinvolgento nei loro progetti una ereditiera texana, Clara Driscoll, che fornì le somme per comperare il complesso, e prendersene cura.

Tutt’ora le intraprendenti signore delle Figlie della Repubblica del Texas organizzano le manifestazioni in ricordo della Battaglia di Alamo, come quella a cui io ho assistito nell’Aprile del 2015 –

Eccole pronte alla sfilata, nei loro bei vestiti bianchi e i cappelli rossi con i fiori, la loro “divisa” di gruppo.

Le mie fonti : Wikipedia

https://en.wikipedia.org/wiki/Daughters_of_the_Republic_of_Texas

Il sito ufficiale delle Figlie della Repubblica del Texas

http://www.drtinfo.org

The Alamo – San Antonio (Texas) – The Shrine of Texas Liberty – Il tempio della libertà del Texas –

The Alamo – San Antonio (Texas)

The Shrine of Texas Liberty – Il tempio della libertà del Texas –

Gli abitanti del Texas sono fieri del loro Stato, si sentono quasi abitante di una Nazione diversa rispetto agli Stati Uniti.
Questo loro aspetto nazionalista, quasi di presuntuosa superiorità, ha delle ragioni storiche molto precise.
Il Texas infatti nella prima metà dell’Ottocento, ha goduto di una propria indipendenza, guadagnata a prezzo di sangue, con battaglie epiche che ancora oggi si ricordano.

Una di queste fu la battaglia di Alamo, combattuta il 6 marzo 1836, che portò al massacro di oltre 250 combattenti, texani ma anche soldati provenienti da altri stati del Sud, fra cui il famoso Davy Crockett.
L’onta fu lavata nel sangue poche settimane dopo, con la battaglia di San Jacinto del 21 Aprile 1836 al grido di “Remeber Alamo”, e così il Texas diventò una Repubblica autonoma fino al 1845, quanto fu annesssa pacificamente e consensualmente agli Stati Uniti d’America.

L’Alamo nasceva in verità come Missione religiosa, con il nome di Missione di San Antonio de Valero. Abbandonata dai religiosi, fu utilizzata come presidio militare dalle truppe ribelli texane con il nome di Fort Alamo.

Oggi è una delle destinazioni turistiche più conosciute del paese , sicuramente la più nota di San Antonio e probabilmente del Texas, sia per l’amore del popolo statunitense per le vestigia del loro pur recente passato, sia per la carica patriottica che il luogo trasmette, tanto da essere chiamato “The Shrine of Liberty – Il tempio della Libertà”

E’ al centro di San Antonio, facilmente raggiungibile, con un posteggio molto vicino, a pochi passi dal Riverwalk e dall’Hotel Menger, un hotel storico che al tempo della guerra di indipendenza texana era una casa di piacere. Oggi il Menger vale la pena di essere visitato per la splendida sala da ballo e il patio in stile messicano.

All’interno dell’Alamo (vale la pena ricordarlo, dove non si paga biglietto di ingresso) c’è un Museo dedicato alla guerra di indipendenza Texana e ai reperti della storia del grande paese.

Il sito ufficiale dell’Alamo di San Antonio, con tutte le indicazioni per la visita.

The Alamo – http://www.thealamo.org

Il sito ufficiale dell’Hotel Menger:

Hotel Menger – http://www.mengerhotel.com

Le mie fonti, che mi hanno aiutato a capire qualcosa di più del periodo storico, visto che quando mio cugino mi ha raccontato le vicende ne ho capito si e no la metà (povero il mio inglese!):

Wikipedia – Battaglia di Alamo

Wikipedia – The Alamo

Questa è la ricostruzione della Battaglia di Alamo nella vetrina di un negozio della Hall del Menger Hotel, specializzato in soldatini da collezione. La foto non è mia, ma ho visitato il negozio nella mia visita a San Antonio, il Kings X Toy Soldiers

King X Toy Soldiers

The Alamo

Southern States – Florida, Nashville, Memphis e New Orleans

Il nostro viaggio negli Stati del Sud nasce sicuramente dal nostro “Mal d’America”, che da dieci anni porta mio marito e me a prendere una aereo per gli States in media ogni 18 mesi, e da una mia infatuazione per il Sud degli Stati Uniti, che gia’ nel 2004 ci aveva portato, fra l’altro in Georgia e nelle Caroline.

Siamo arrivati e ripartiti da Miami per motivi di praticita’ e di economia; partendo da Catania preferiamo volare Alitalia, che ha un volo diretto Roma / Miami, su cui spesso pratica sconti (quest’anno abbiamo pagato 408 euro a persona).
Abbiamo passato i primi 10 giorni in Florida, stato che gia’ conoscevamo e di cui eravamo (e siamo) innamorati. Abbiamo rivisto qualcosa che ci era piaciuto nel 2005, e approfittato per vedere posti e destinazioni nuove. L’idea era anche quella di fare qualche giorno di sole e mare, ma la nuvoletta di Fantozzi che mi perseguita ha colpito ancora (io ho al mio attivo quattro giorni di pioggia nello Yucatan, una settimana di freddo a giugno in Salento, una media di 10 gradi in Normandia a Luglio…la prossima vacanza la faccio in Darfur, cosi’ risolvo una tragedia umanitaria!).

Arriviamo a Miami in perfetto orario il 7 novembre 2009, e dopo le formalita’ di immigrazione e doganali (questa volta velocissime) e la consegna della macchina noleggiata, ci dirigiamo a Fort Lauderdale, dove abbiamo fatto base per la prima settimana. In effetti la scelta è stata motivata dal fatto che abbiamo utilizzato una settimana di scambio della nostra multiproprieta’ Marriott nel fantastico BeachPlace Towers, un condominio di lusso sul lungomare di Fort Lauderdale. Avevamo un lussuosissimo appartamento (chissà perche’ loro lo chiamano “villa”) con terrazza con vista sui canali, camera da letto hollywoodiana con vasca idromassaggio e cucina ipertecnologica, in una struttura con piscina con vista panoramica, palestra dietro una vetrata sull’oceano, ma comunque collegata alla spiaggia da un passaggio pedonale sopraelevato sul lungomare. Fort Lauderdale è una localita’ graziosissima, ovviamente destinata ai pensionati e ai vacanzieri, con un lungomare pieno di negozi e ristoranti e una bellissima spiaggia bordata di palme. Peccato che quando siamo arrivati c’era una specie di uragano, con vento fortissimo che è durato per sei giorni….ovviamente fino alla mattina della partenza, quando il tempo è diventato estivo!

Da Fort Lauderdale abbiamo fatto escursioni ogni giorno, visitando le localita’ della costa Est. Hollywood, Deerfield, Palm Beach, Boca Raton, Pompano….siamo anche tornati sulla costa Ovest, nella graziosissima Naples con il suo Pier, a Sanibel Island per le conchiglie e a Fort Myers, a vedere le ville di Edison e di Ford. Non poteva mancare Miami e una puntata agli Outlet di Sawgrass Mills. Alternavamo momenti di relax (soprattutto i primi giorni) con uscite piu’ o meno lunghe; abbiamo cercato di variare la qualita’ del cibo, e abbiamo alternato i pasti a “casa” ai ristoranti delle varie catene: Red Lobster, Longhorn, Bubba Gump. A Hollywood abbiamo mangiato dal famoso Billy’s Crab (famoso probabilmente anche per il conto!) mentre a Miami in una steak house argentina , “The Knife”, che gia’ conoscevamo a Coconut Groove. Devo dire che mangiare nel nostro appartamento una volta al giorno in maniera piu’ leggera o facendoci un piatto di pasta (nei supermercati si trova davvero tutto, dalla pasta Barilla alla salsa Mutti) è stato molto piacevole!

Il 14 novembre ci siamo spostati sulla costa Ovest, diretti a Clearwater – St. Petersburg, dove avevamo prenotato un monolocale in residence . Non era un granche’, ma anche qui abbiamo utilizzato dei punti Marriott, e il fatto di non pagare ci ha fatto superare tutti i difetti! Anche qui abbiamo alternato pasti cucinati da noi a pranzi e cene fuori.

La zona di Clearwater- St.Petersburg è un trionfo di spiagge bianchissime, di State Parks, di natura rigogliosa, curatissima, comodita’ ….una goduria per i turisti (e ovviamente per gli onnipresenti pensionati!) In cinque giorni abbiamo visitato varie spiagge: Honeymoon Island, Caladesi, Fort De Soto, Sand Key….una piu’ bella dell’altra, riserve naturali regno di mangrovie e gabbiani. Clearwater Beach invece è la classica spiaggia per famiglie, larghissima, con un Pier popolarissimo di pescatori e bancarelle, soprattutto all’ora del tramonto; mentre St.Petersburg ha un Pier e un lungomare molto chic, con negozi e ristoranti di livello medio-alto. Il tempo finalmente era bello, ma ci siamo limitati a prendere il sole: onestamente il mare non ci ispirava troppo, visto che negli State Park, per consentire la sopravvivenza a tutte le forme di vita, sulla spiaggia vengono lasciate le alghe. Fastidiose la zanzare a Caladesi, ma sembra che anche quelle siano forme di vita da proteggere per la catena alimentare!

Il fiore all’occhiello dei nostri giorni a Clearwater-St.Petersburg è stata pero’ la visita ai Bush Gardens di Tampa. Una struttura indescrivibile, in parte orto botanico, in parte bioparco, ma soprattutto parco divertimenti. Un biglietto unico di 80$ a persona ti fa entrare nel regno della natura, dove passeggi fra piante rare, animali in liberta’, uccelli……puoi prendere la jeep e andare a nutrire le giraffe, prendere una funivia e vedere le zebre e le gazzelle, vedere tigri e leoni dietro le grate (c’è una rarissima tigre bianca) e ippopotami, rinoceronti, elefanti, scimpanze’ e gorilla, oltre a uccelli di tutte le misure: dai fenicotteri rosa alle ara multicolori ai canarini piu’ rari. Il tutto ovviamente spiegato e organizzato nel piu’ tipico stile dei parchi giochi. Bello, bello, bello, forse una delle cose migliori che abbia visto in Florida : sicuramente piu’ istruttivo e meno comune dei gia’ noti parchi Disney.

Sazi di natura, il 18 novembre siamo partiti da Clearwater verso Nord, per il nostro giro on-the-road alla ricerca delle suggestioni del vero Sud, con tanto entusiasmo, e vestiti estivi, cosa di cui ci siamo pentiti qualche ora dopo: memori delle calde estati dei libri di John Grisham, non pensavamo che a Novembre gli Stati del Sud siano abbastanza continentali, come temperature!

Abbiamo dedicato due giorni all’Alabama, un percorso sulla memoria della lotta per i diritti civili (Martin L.King, la rivolta degli autubus, la bomba di Birmingham). A Montgomery abbiamo visitato la parrocchia e la casa del reverendo King, con ancora il segno della bomba nel portico. A Birmingham c’è un bel Museo dei Diritti Civili, proprio di fronte alla Chiesa Battista tristemente nota. Nel Museo si svolge un cammino della memoria fra i principali eventi della lotta per i diritti civili della popolazione afro-americana; molto, molto emozionante. Abbiamo visto cose interessanti, abbiamo riflettuto, e abbiamo spezzato il viaggio verso il Tennesse.

Siamo arrivati a Nashville nel pomeriggio del 19 novembre, abbiamo preso un hotel vicino al centro (Best Western Music Row, ottimo, personale gentile, bella stanza, non troppo costoso, bar con musica dal vivo) e abbiamo fatto un giro di orientamento sulla Broadway e 2nd Ave N,dove di fatto ci sono i locali piu’ famosi, dal BB.King al Wildhorse Saloon. La Broadway è la strada piu’ turistica di Nashville, si succedono negozi di dischi, negozi di abbigliamento western, locali in cui a qualsiasi ora del giorno e della sera trovi qualcuno con una chitarra, gli stivali, ed una birra che canta un pezzo country. Molti turisti, soprattutto statunitensi.

L’indomani abbiamo visitato il Musicians Museum and Hall of Fame, l’Auditorium, abbiamo passeggiato su Broadway, abbiamo mangiato al Jack’s Bar-B-Que (un locale famoso, una fila incredibile, servizio comunque velocissimo, tipico e originale)e poi siamo andati a Opryland, un complesso incredibile di alberghi (anzi, uno solo immenso, con un giardino botanico nella hall; recentemente si è visto in TV per la convention del Tea Party, con la partecipazione di Sarah Palin) e un centro commerciale intorno al nuovo teatro Opry, costruito fuori citta’ per sostituire quello storico in centro. In serata siamo andati al Wildhorse Saloon a vedere il Country; c’erano degli artisti che si esibivano, ma soprattutto io volevo vedere dal vivo una countryline, il ballo tipico –

Il 21 novembre siamo partiti per Memphis, ma prima abbiamo visitato una piantagione, la Belle Mead Plantation: una cosa molto particolare, una casa del vecchio Sud. Fra l’altro per arrivarci abbiamo attraversato una zona di casa lussuosissime, una piu’ bella dell’altra. Nel pomeriggio siamo arrivati a Memphis (l’albergo era un Best Western vicino a Graceland, pulito, economico, comodo, ma nulla di speciale) e abbiamo passato la serata passeggiando su Beale Street, guardando nei locali i cantanti simil-Elvis che si esibivano nel repertorio classico. Credevo fosse una leggenda metropolitana, ma davvero ho visto persone vestite da Elvis, con il ciuffo e il cinturone (uno si accompagnava con una Marilyn!)

Il giorno dopo abbiamo visitato Graceland: c’è bisogno di un giorno intero, in quanto non c’è solo la casa da visitare, ma esibizioni a tema, l’esposizione delle macchine, delle moto, dei vestiti, delle memorie militari. Il giro della casa è fatto con una audio guida in italiano, e in ogni punto c’è un numero con contributi audio. Bello, emozionante, coinvolgente. In serata abbiamo passeggiato ancora su Beale Street cenando nel locale di ispirazione irlandese Silky O’Sullivan (a proposito, la cucina del Sud è buona, ma pesante e secondo me poco varia; oltre ai vari locali, c’è la catena Cracker Barrel, che vende oggetti di sapore western e nei ristoranti propone piatti tipici della tradizione ). Prima di tornare in albergo abbiamo fatto una passeggiata lungo il padre Mississipi, che abbraccia la citta’, e abbiamo visitato by nigth Graceland (fuori dal cancello, dalla strada, insieme ad un’altra decina di scalmanati, facendo le foto in piedi sul predellino della macchina), con il giardino gia’ ornato per Natale con gli addobbi originali di Elvis.

Cosa mi è rimasto dei giorni in Tennessee? Beh, io amo la musica in generale, ho un discreto interesse per le forme musicali piu’ diverse anche se in effetti non sono una intenditrice o una tecnica musicale. Nashville mi è piaciuta, ho trovato interessante il Musician Museum, mi sono divertita al Wildhorse Saloon, mi sono sorpresa all’Opryland (una americanata stile Las Vegas), ma non mi sono entusiasmata.

Memphis invece mi ha davvero emozionato. Intanto la sensazione di essere in una vera citta’ del Sud. Forse perché sono una lettrice di Grisham, ma mi sentivo in una citta’ con un carattere ben definito, signorile. Beale Street è un piacere per la vista e per le orecchie, è bello camminare, guardare i locali, ascoltare la musica (anche nelle traverse laterali vedi persone suonare o cantare). Graceland è un museo ad un mito, ben strutturato, ben presentato, che ti fa venire voglia di scoprire ancora di piu’ qualcosa su Elvis, ti fa venire voglia di ascoltare la sua musica, te lo fa guardare con la simpatia dovuta ad un uomo forse travolto da un successo che non aveva la forza di gestire. La presenza di Elvis è ingombrante nella citta’, dal monumento in una piazza all’inizio di Beale Street ai manichini nei visitor’s centre…..eppure è come se la città non ne venga sopraffatta. Ovviamente queste sono mie suggestioni, che prescindono da ogni considerazione musicale, ma il country mi è sconosciuto come genere, lo posso “conoscere” con la mente, mentre Elvis e il blues li ho davvero “sentiti” con il cuore.

Il nostro viaggio il 23 novembre proseguiva verso “The Big Easy”.

Siamo partiti da Memphis il 23 novembre mattina, e attraverso lo stato del Mississipi ci siamo diretti a New Orleans. Lo stato del Mississipi è lo stato piu’ povero degli USA, e sinceramente non c’è nulla per cui valga la pena di fermarsi. Abbiamo spezzato il viaggio a Jackson, la capitale, per mangiare un boccone e dare un’occhiata, ma non ci siamo fermati piu’ di tanto.

Siamo arrivati a New Orleans nel pomeriggio, abbiamo preso una stanza al Best Western nel Quartiere Francese (noi andiamo nei Best Western perche’ sono una delle poche catene che hanno ancora stanze fumatori, mio marito è una piaga da questo punto di vista!), e siamo andati subito a cena a Bourbon Street. Bourbon Street la sera è….un casino! Si va dai ritoranti di lusso (all’inizio, verso Canala Street) ai locali a luci rosse, dalle birrerie dove si beve e si balla ai negozi di materiale vodoo. Gente di tutti i generi, ragazzi con i mano la birra, turisti, coppie…..davvero uno spettacolo. Noi abbiamo cenato in un ristorante con l’affaccio su Bourbon Street, sul tipico balconcino, The Embers. Ovviamente è stato un salasso, ma volevamo solennizzare la serata!

Il giorno dopo abbiamo fatto un giro a piedi per il French Quarter (che di giorno è anche delizioso), poi ci siamo dati da fare per cercare un giro fra le zone alluvionate che fosse commentato in italiano. Nulla da fare, nemmeno l’ufficio informazioni turistiche ci ha potuto aiutare. Un impiegato molto gentile, pero’, ci ha segnato sulla cartina l’itinerario da fare, segnandoci i punti dove fermarci. Infatti il quartiere maggiormente danneggiato, il famoso “9th Ward” è parecchio malfamato. Il tizio dell’ufficio turistico si è raccomandato di andarci di giorno, di non scendere dalla macchina, di percorrere solo le strade grandi. Ci ha segnato sulla cartina dove era possibile fermarci, e la zona che sta ricostruendo Brad Pitt con i soldi raccolti con il progetto Make it Right (http://www.makeitrightnola.org/ ) – Un giro interessante e commovente, si vedono solo case di poveracci ancora totalmente da ricostruire. Sono case di persone che erano li’ in affitto, o che erano troppo poveri per avere un’assicurazione. Cosi’ sono ancora come l’indomani dell’alluvione. Nei quartieri ricchi, invece, non sembra nemmeno che ci sia stato Katrina. Guarda caso l’unico quartiere ancora distrutto è il quartiere nero e povero di New Orleans. In un paese decisionista e megalomane come gli Stati Uniti 4 anni senza nemmeno togliere i rottami delle macchine dimostra il totale disinteresse e la mancanza di un progetto in quelle zone. C’è molto da riflettere.

Nel primo pomeriggio siamo andati a mangiare un boccone in centro, al Riverwalk, un mega centro commerciale alla fine di Canal Street. Canal Street è una strada molto bella, piena di negozi, alberghi e ristoranti. Dovessi tornare a New Orleans prenderei l’albergo li’ . La sera abbiamo fatto un giro su Canal Street, Decatur Street, il French Market, e poi di nuovo su Bourbon Street, per cenare in un cortile all’aperto dove suonavano il jazz.

Dalla mattina dopo è cominciato il tour de force fra i parenti, pranzi e cene interminabili, compresa la giornata del Thanksgiving Day all’americana, con parata di Macy’s in tv, tacchino, preghiera, proprio come nei film.
Il venerdi’ 27 abbiamo fatto un giro lungo il Mississipi (il fiume), visitando una bella piantagione a circa 30 miglia da New Orleans, a Oak Alley. Una cosa bellissima, una guida in costume che spiegava la vita della piantagione e le usanze dell’epoca. Bello davvero.

Il giorno dopo siamo ripartiti verso la Florida, visto che il volo per l’Italia ripartiva da Miami. Abbiamo fatto una tirata unica di 10 ore pur di fermarci a Orlando e fare una mattinata di shopping al Prime Outlet! Siamo arrivati a Miami il 29 novembre sera, giusto il tempo di prendere una stanza al Best Western all’ Aeroporto (dove uno sveglissimo impiegato mi ha perso il modulo I-94W dell’immigrazione) e andare a mangiare una ottima bistecca all’Outback, catena di steak house in stile australiano.

Il 30 novembre la mattinata è passata a ricompattare il bagaglio per il volo di ritorno, a riconsegnare la macchina, e a sospirare pensando alla vacanza finita. Nel piu’ puro stile Fantozzi siamo partiti con un sole e un caldo tropicale, e siamo arrivati, con le scarpe da tennis e i giubbotti da viaggio, sotto la grandine (a Catania !?!).

Per scrivere questi ricordi, ho riletto con piacere il mio diario di quei giorni meravigliosi. Si, perche’ questa volta ho deciso di scrivere uno Scrapbook di questa avventura, una specie di diario con ritagli, biglietti, piantine, appunti e punti esclamativi, tutto scritto con penne e matite colorate….una cosa divertente e creativa che facevo in albergo la sera o la mattina prima di uscire, fra la curiosita’ e l’impazienza di mio marito, che da 23 anni sopporta le mie stranezze!
——————————————————————————–

New Orleans

Premetto che le mie visite di New Orleans non sono state mai esclusivamente turistiche: a New Orleans, infatti, c’è una bella fetta della mia famiglia!
Mia nonna paterna era la prima di nove fratelli e sorelle: lei ritornò in Italia dopo il matrimonio, mentre tutti gli altri restarono a New Orleans..vi immaginate, dunque, quanti cugini ho io su entrambe le rive del Mississipi?

Sono stata a NO due volte, ed entrambe le mie visite sono state il pretesto per due feste familiari stile “Soprano’s”, con tovaglie tricolori e cori che intonano “That’s ammore” (soprattutto la prima volta, nel 1989, quando gli eventi vennero organizzati dalle vecchie generazioni).

Stare dai parenti negli USA è un’esperienza interessante, soprattutto se si decide di fare vita casalinga, e perciò di godersi appieno “the american style of life”. Noi andavamo a fare la spesa, in banca, dal parrucchiere, a fare benzina…insomma abbiamo cercato di condividere con i cugini che ci ospitavano le loro abitudini e i loro itinerari. Questo ovviamente è andato a scapito delle attrazioni più “turistiche”, ma credo che tutto sommato ne sia valsa la pena. Quest’anno, poi, abbiamo partecipato anche al matrimonio di una cugina, e un matrimonio negli USA, ma soprattutto a NO, dove si sentono influenze tradizionali di tutti i generi, è davvero qualcosa da raccontare.

Comunque ho visitato parecchie attrazioni a New Orleans, e ci sono state cose che mi hanno molto colpito: una di queste è stata la “House of Vodoo” su Bourbon Street, il cuore pulsante della New Orleans peccaminosa e nottambula. Il vodoo a NO è molto presente, e anche i negozi di souvenir più dozzinali hanno gadgets con teschi, fantocci, spilloni, e materiale del genere. Ma la House of Vodoo di Marie Levau è qualcosa di più inquietante.
Lì dentro tu percepisci che c’è gente che ci crede davvero. Innanzitutto il materiale in vendita è meno appariscente, e molto artigianale. Bamboline fatte mano, fantocci di pezza, spilloni di vario genere, radici e erbe dall’ uso sconosciuto…La cosa che mi ha colpito più di tutte è stato l’altare dedicato a Marie Levau, famosa “sacerdotessa” di riti di magia tradizionale, con il suo ritratto, molto inquietante e sicuramente appariscente. L’ immagine di questa donna magra, con grandi occhi e tanti capelli, è circondato da candele, bigliettini, e oggetti che potremmo definire “ex-voto”, del genere che ci si aspetta in un posto così. Teschi, bamboline, candele profumate..ci credete che sono uscita da lì di corsa???
La mia curiosità da turista è stata sopraffatta da un senso di fastidio e di ..inquietudine!
La Cattedrale di St. Luis mi ha colpito per un’altra cosa..non avevo mai visto all’interno di una chiesa le bandiere nazionali. Ci sono sia le bandiere storiche della Confederazione e degli Stati del Sud, ma anche lo Star and Stripes, che sventola tranquillo di fronte al crocifisso!

E infine, un’altra cosa che merita una visita è il Cafè du Monde nel Quartiere Francese. E’ un ritrovo che risale al 1870, che resta aperto
sempre, 24 ore su 24, eccetto il giorno di Natale. Il Cafè du Monde ha chiuso solo in occasione di qualche uragano, ma nei giorni restanti (e nelle notti) è sempre circondato da file di turisti in attesa di gustare il “Cafè au Lait” (uno schiumosissimo cappuccino), ma soprattutto i “beigneès”, una sorta di maxi – zeppole fritte e ricoperte da uno strato incredibile di zucchero al velo.

Dopo Kathrina le zone ricche (Metairie, le zone intorno al Lake Pontchartrain) sono state ricostruite in tempi brevissimi grazie ai rimborsi assicurativi.
Diversa la situazione per le zone più povere della città, tipo il Ninth Ward, dove ancora nel 2009 si vedevano i danni della tracimazione del lago.
Le case erano quasi tutte in affitto, e le persone avevano perso tutto. I proprietari aspettavano i risarcimenti, o non erano nemmeno assicurati, dunque nessuno ricostruiva.
Il tizio del Visitor Center si raccomandò di non scendere dalla macchina (era di giorno) e di non fare foto.
Se cosideriamo che Kathrina era stata nel 2005, e io sono stata in quelle zone nel 2009, capite bene che per gli standard USA quelle zone erano volutamente abbandonate.
L’unico che faceva qualcosa nel Ninth Ward era Brad Pitt, con la sua fondazione Make it Right.
All’epoca gli unici che stavano ricostruendo le case erano i volontari con i fondi derivanti dalla sua associazione.

Comunque, capisco che le opinioni su New Orleans siano sempre contrastanti.

Io mi rendo conto di avere per NO un trasporto emotivo maggiorato, esclusivamente per motivi familiari e personali.
La mie visite sono state in massima parte “scortate” da parenti, e la città la vedo con gli occhi del cuore.

Ciononostante la terza volta che l’ho visitata, nel 2009 nel giro degli Stati del Sud, sono volutamente rimasta 24 ore in “incognito” per potere girare a mio piacimento e dormire due notti nel French Quarter.

Anche noi abbiamo avuto la sensazione che alcune parti di Bourbon Street, la sera, siano in pieno degrado. Abbiamo notato tutti i locali a luci rosse, le ragazze in attesa, le insegne anche troppo esplicite.

Nei locali si sente poco jazz e molto “tumpi tumpi tumpi” techno – Noi abbiamo ascoltato un gruppo con banjio e sax in un cortile davanti ad un buchetto con street food, perche’ i locali non erano per nulla quello che ci aspettavamo.

Ma Bourbon Street NON è il French Quarter, ci sono strade molto più praticabili, senza dovere tappare gli occhi ai bambini.

Per me New Orleans è il Garden District con le lussuose case d’epoca, è Canal Street, sono i locali affacciati sul Pontchartrain Lakefront.
E’ il Vieux Carrè di giorno, con i balconi fioriti e gli artisti di strada.
E’ il Riverwalk con vista sul Mississipi.
E’ la Cattedrale di St.Louis con le bandiere di fronte al crocifisso (anche la bandiera della squadra dei Saints!) –

E potrei continuare……ma credo di essermi spiegata.

Quello che viene fuori da tutti i commenti, però, e’ che New Orleans è diversa da tutte le altre città degli USA, è una città che si ricorda e che ha un suo spirito peculiare. Ovviamente divide, ma non lascia mai indifferenti.

Maui

Maui

Seconda settimana di vacanza, seconda isola.

Maui e’ un’isola prettamente turistica, destinata alle vacanze balneari, al surf e ai viaggi di nozze.

E’ un posto calmo, pieno di resort e alberghi, con attività marine di tutti i generi: snorkeling, escursioni, diving.

Molta calma, molta pace……dato il nostro stato d’animo (ricordate cosa ho scritto in premessa su Ohau?) forse non era la destinazione più adatta…..ma eravamo li’, e abbiamo cercato di godere il più possibile del luogo.

 31 marzo 2013

 Siamo arrivati il 31 marzo, ovvero la Domenica di Pasqua.

Il passaggio Ohau / Maui e’ un breve e comodo viaggio con Hawaiian Airlines: nulla da eccepire, ottima compagnia, servizi aereoportuali ben organizzati ed efficenti.

Il terminal Interisland e’ all’aperto, con giardini e panchine dove si può aspettare l’orario di imabrco nel massimo relax!

Prendiamo la macchina e arrivamo al Wailea Beach Marriott Resort & Spa, l’hotel prenotato per 5 notti con i rewards Marriott.

 E’ un hotel molto bello, che abbiamo scelto perche’ innamorati dell’Infinity Pool.

 La zona di Wailea e’ abbastanza servita, con ristoranti, locali e una bella spiaggia destinata agli ospiti dei numerosi hotel.

Dopo la scoperta di Wailea, ci avventuriamo verso il centro principale, Lahaina.

Lahaina e’ una località prettamente turistica. Una lunga strada costiera con ristoranti e negozi di souvenir a destra e sinistra. Oltre a un megastore Hilo Hattie, molto migliore rispetto a quello dell’Ala Moana di Waikiki (più grande e più fornito) ci sono tante gioiellerie con le perle di Maui, con vaschette di ostriche immerse nell’acqua.

Si paga un tot, e si sceglie l’ostrica da aprire: la perla c’è sicuramente, ma la sorpresa e’ vedere la qualità, le dimensioni, il colore.

Ceniamo da Longhi’s, un locale bello ma piuttosto caro –

1 Aprile 2013

Road to Hana

L’attrazione principale di Maui e’ la Hana Road, una strada di oltre 100 km sulla costa est dell’isola. La bellezza di questo percorso e’ che si svolge nella foresta pluviale tipica delle isole.

Il percorso e’ definito “tortuoso”, ma il concetto di “strada tortuosa” e’ sicuramente americano: in tutti i punti comunque il doppio senso di marcia era ampiamente comodo, e i cosiddetti “tornanti” rispetto a quelli del Trentino erano curve gentili!

Il percorso e’ durato buona parte della giornata, fra panorami mozzafiato e piccoli tesori nascosti. Infatti in molti momenti ci siamo fermati, lasciando la macchina nelle piazzole di soste, e proseguendo a piedi verso l’interno, per scoprire cascate e panorami.

Prima di partire avevo preso in hotel una guida, che indicava i punti più interessanti, con l’indicazione delle miglia.

Decidiamo di ritornare all’hotel attraversando il parco vulcanico del Haleakala National Park, una scelta stancante, ma non incosciente. La nostra guida raccomandava di fare quella strada solo di giorno e in condizioni metereologiche buone (la strada e’ a strapiombo sul mare, ad altezza cavalloni!), e siccome entrambe le condizioni sono soddisfatte….noi proseguiamo. Arriviamo in hotel distrutti, e mangiamo una cosa veloce in un locale della zona….arrivandoci rigorosamente a piedi!

2 Aprile 2013

Dopo la sfacchinata del giorno prima, ci dedichiamo esclusivamente al relax in piscina….ce lo meritiamo, no?

3 aprile 2013

Giornata soft di escursioni nelle spiagge del lato Ovest.

Makena, bellissima, la classica spiaggia di sabbia fine,

Kihei, una località familiare, piena di condomini e spiagge affollatissime –

Maalea,  un porticciolo turistico dove prenotiamo la gita in catamarano per la serata.

Una gita che ci fa gustare un tramonto meraviglioso proprio in mezzo al mare –

 4 aprile 2013

 Il dovere ci chiama: la mattina passa allegramente a Lahaina, occupati nello shopping di fine vacanza. Per fortuna il negozio di Hilo Hattie di Lahaina e’ enorme, e c’è di tutto, dai pensierini da pochi dollari ai regali piu’ impegnativi.  In serata bagagli e saluti…..domani si parte.

5 aprile 2013

La prima tratta e’ piacevole e veloce. Con Hawaiian Airlines si torna ad Honolulu. Da li si torna ad Atlanta, dove arriviamo all’alba del giorno dopo –

 6 aprile 2013

 Giornata ad Atlanta, un po’ mosci perche’ entrambi raffreddati e rincretiniti dal cambio di fuso….da ovest a est e’ il cambio peggiore, per noi!

7 Aprile 2013

Volo Atlanta Fiumicino: due ore di ritardo, ma alla fine si parte.

8 Aprile 2013

E infine, rieccoci a casa!

Forse non tutti sanno che……..le immense pianure degli USA Centro Orientali –

Leggo spesso sul forum che frequento, dedicato principalmente ai viaggi USA,  di idee di itinerari che coinvolgono Chicago e la Real America, con l’attraversamento di Wisconsin, Minnesota, Iowa e Nebraska .

Fare riflettere i proposti viaggiatori ormai e’ una campagna che porto avanti sul forum, perche’ quella di fare un OnTheRoad in questa maniera e’ una scelta che deve essere fatta con cognizione di causa.

Anch’io nel 2011, guardando la cartina, ho pensato “ E che ci vuole? Due giorni di strada ed e’ fatta. Ci si ferma ogni tanto, si sgranchiscono le gambe, magari un soft drink in qualche paesino, due passi, e il viaggio passa”.

Beh, questa e’ la teoria…la pratica e’ ben diversa.

Arrivare in macchina in South Dakota partendo da Chicago, significa prepararsi a due giorni di guida quasi ininterrotta, circa 1.500 km sulla I90, attraversando alcuni stati che hanno poco da offrire, come il Wisconsin e il Minnesota.

Per la prima parte dell’itinerario ho preso ispirazione da un diario molto interessante, che raccontava i 5400 km da Chicago a Seattle.

 http://www.forumvacanzeinamerica.it/viewtopic.php?f=40&t=1774

Nella parte che ci interessa l’amico DDAAXX – Dario aveva deviato per i ponti di Madison County prima di dirigersi verso il South Dakota, ma alcuni suggerimenti sono utilissimi anche se vogliamo proseguire senza fermarci.

Partendo da Chicago di mattina presto, si va verso nord, attraversando l’immensa periferia industriale della metropoli. Arrivati ad un certo punto si puo’ decidere di costeggiare il Missisipi in Wisconsin, facendo una Historic Route, ma a questo punto i tempi si allungano.

Se l’obiettivo e’ il Sud Dakota in tempi rapidi, l’unica cosa che ci si puo’ concedere e’ una fermata verso l’ora di pranzo a La Crosse, una cittadina sul Mississipi molto carina, dove si puo’ almeno fare una sgambata.

Per potere arrivare a Sioux Falls in serata, pero’, si deve partire presto, e attraversare il Minnesota nel pomeriggio. E questa, credetemi, e’ un’esperienza da ricordare. Da ricordare per la sua negativita’.

Avete presente il Minnesota? Pianure sconfinate, cinque milioni di abitanti sparsi in un territorio grande due terzi l’Italia……Ecco, e questa pianura in mezzo al nulla si attraversa di pomeriggio, dopo altre ore di macchina, essendosi fermati solo in stazioni di servizio lungo l’autostrada, perche’ lungo questa strada non ci sono nemmeno centri abitati che valga la pena di ricordare.

L’unico miraggio e’ arrivare a Sioux Falls, una metropoli di ben 140.000 abitanti dove fermarsi in albergo e fare una passeggiata verso le fantasmagoriche cascate alte piu o meno 3 metri.

E il giorno dopo si deve ripartire presto, per attraversare parte del Sud Dakota per potere arrivare alle Badlands……all’ora di pranzo, sotto la perna del sole!

E in tutto questo viaggio, quello che si e’ visto e’ solo questo:

Ma siamo sopravvissuti, abbiamo fatto il nostro meraviglioso giro della Real America (e qui non sono ironica!) e abbiamo visitato il Colorado.

Da Denver dobbiamo tornare a Chicago, e cosi’ ci prepariamo ad altri 1600 chilometri attraversando il Nebraska, lo Iowa e un po’ di Illinois.

Il Nebraska e’ famoso per due cose: il bestiame e le pannocchie….. e per tutta la giornata sulla I 80 non vedrete altro.

Ci si ferma ad Omaha, e qui si avra’ un bella sorpresa, perche’ Omaha e’ una citta’ davvero graziosa, fatta bene, costruita sul fiume Missouri, di media grandezza (oltre 400.000 abitanti.)

La vecchia zona di magazzini sul fiume e’ stata ricostruita e adesso e’ un nucleo di locali e negozi davvero bello da guardare. Il lungofiume ci consentira’ una passeggiata serale per riaffrontare la strada domani.

Perche’ domani attraverseremo lo stato dell’Iowa, dove non ci sono nemmeno le vacche….solo pannocchie!

Uno stato dove non c’è differenza di altitudine significativa, popolato da persone gentilissime (la signora del Visitor Center mi ha regalato alcune cartoline, fra cui la cartolina del Visitor Center stesso!) ma che parlano con uno strano accento e ridono sempre.

Solo dopo altre ore di autostrada fra campi e balle di fieno, campi e balle di fieno, oh, un trattore, campi e balle di fieno……si arriva in Illinois dove tutto torna ad essere industriale e grigio.

E in serata si arriva a Chicago, con il desiderio di non vedere piu’ un’autostrada per tutta la vita.

Ora, io ho cercato di essere vivace nel mio racconto, ma vi immaginate la noia?

Se il nostro equipaggio e’ formato da due persone, puo’ essere una salvezza alternarsi alla guida.

Se il guidatore e’ uno solo (come nel mio caso) e’ qui che si tempra l’unita’ e la complicita’ della coppia. Davvero, non scherzo, ci vuole una gran pazienza.

Il guidatore deve essere coinvolto con chiacchiere e musica, perche’ il rischio colpo di sonno e’ grande, soprattutto nel pomeriggio.

Entrambe le autostrade sono drittissime, senza curve, con pochi segnali; il limite di velocita’, che e’ quello che conosciamo, non aiuta certo.

Fondamentale e’ la buona musica e la conversazione interessante. Personalmente ho anche letto qualcosa ad alta voce sulle destinazioni che avremmo raggiunto, chiedendo ogni tanto un’opinione, giusto per tenere desta l’attenzione del mio autista.

Serve acqua da tenere in macchina, magari qualcosa da sgranocchiare, pianificare bene i rifornimenti e le soste pipi’……e tanta, tanta pazienza.

Non e’ sicuramente la parte migliore del viaggio, ma anche questa e’ un’esperienza: la cosa migliore e’ arrivare preparati!